sabato 3 gennaio 2015

La Battaglia dei Carri V: la Vendetta di Begaruh

Dall'alto della collina Arik era l'unico che riuscisse ad avere una perfetta visione di tutto il campo di battaglia.
Come un falco che veda il coniglio inerme al termine della planata, sentí di avere la vittoria in pugno.
A un suo segnale i carri invertirono la corsa compiendo un largo giro. Indi si lanciarono giú dalla collina sull'armata dei dervisci, fiaccata dalla lunga carica.
Il rombo tremendo delle ruote e del metallo, gli elmi perfettamente lucidi e la parete di lance puntute paralizzarono la volontá del nemico.
I carri impattarono le linee avversarie con un tremendo rimore di ossa spezzate, frantumando la massa derviscia in 4 tronconi. Come un maglio di acciaio che entri dentro una balla di fieno.
La maggior parte degli Auroradei morí semplicemente schiacciata, quelli che tentavano di arretrare si trovarono a crepare sulle asce senza misericordia dei nani di Kulma, sopraggiungenti da dietro.
In pochi secondi migliaia di essi caddero, senza neppure avere avuto occasione di alzare la spada.

Tuttavia il coraggio non abbandonò i sopravvissuti che si diedero ad una fiera resistenza, sempre incitati dal gran Derviscio.

Questi vide in lontananza il vessillo di Begaruh e pensó di risolver la battaglia abbattendolo.
“Arik!” ruggì, e scattó in avanti.
Travolgendo come un fuscello ogni avversario che gli parava di fronte, sì preparò ad affrontare il suo avversario.

Lo vide Arik dall'alto del suo carro ed esaminandolo con disprezzo gli chiese:
“Perché cerchi una morte piú rapida di quella che il destino ti ha riservato? Folle!” e scese dal carro, giacché sapeva che il suo odio era stato distillato al punto giusto da divenire un mortale veleno che avrebbe corroso la vita del Gran Derviscio.

Piantó quindi la lancia nel terreno ed estrasse una sottile spada preparandosi nella mortale posizione del Basilisco.
Ma, prima ancora che avesse finito di mettersi a punto, lo caricó Il Gran Derviscio di testa, come un toro infuriato. Lo colpi in pieno, scaraventandolo a terra a metri di distanza.

“Che il mio destino si compia come deve” gli rispose levando la spada “Ma io ti dico che i vermi si disputeranno il tuo corpo, prima che il sole abbia visto il suo zenit.”

E cosí dicendo menó un colpo gigantesco teso a troncare in due il suo opponente steso a suolo.
Arik peró non era più li.
Rotolando sul terreno aveva schivato il colpo e si era rialzato alle spalle del furibondo guerriero. Ne prese il collo in una morsa, puntandogli la spada alla schiena.
“assapora il morso della Giustizia.” Gli mormoró nell'orecchio.
E lo trafisse da parte a parte.

Cadde cosí il Gran Derviscio di Aurorade e grande sconforto si sparse fra le fila dei Berseker. Ma la battaglia non era ancora decisa.

Tutto lo scacchiere era una confusione di truppe in movimento, accecate dalla polvere sollevata da loro stesse come dall’inquietante nebbia di Narim.

Gli gnomi di Ludageh erano giunti a contatto e tempestavano di quadrelle le fila di Satod che gli bloccavano il cammino.
I monaci stavano riparati ma non retrocedevano.
Il primo Mercante Bolger, vedendosi bloccato, mandó un messaggero ad Argento di Desio che si trovava alla sua retroguardia:
“Attaccateli adesso!” mandó a dire “Voi siete piú attrezzati per il combattimento corpo a corpo. Lasciate che Ludageh vi protegga le spalle.”
Per la Cacciatrice giá adirata per la non concordata mossa di Ludageh fu questa la goccia che fece traboccare il vaso.
“Chi è costui per dare ordini?“ replicò sprezzante al messaggero “da quando sarebbe divenuto questo volgare mercante, il Generale Capo dello Splendore? Siete avanzati senza chiedere e ora cercate aiuto?!”
E gli voltó le spalle, crudele.
“rimarremo qui! E li attaccheremo quando saranno a tiro.“

Lo sconsolato messaggero tornó quindi da Bolger, portando le nuove su alleati poco affidabili.

Bolger decise di andare di persona a trattare con Argento. Se necessario perfino a scusarsi con la capricciosa cacciatrice.
Dolce, folle, gnomo.
Buono di cuore e abile nel commercio, ma imperito nell’arte della guerra. Ignaro che sul campo di battaglia un comandante deve stare fra i suoi.
Si avvio dunque Bolger.

Nel frattempo gli gnomi continuavano a tenere sotto tiro l’armata di Satod, la quale, prudentemente, si teneva a distanza.
“Appena Bolger avrá convinto Argento ad avanzare” si dissero l’un l’altro gli gnomi “sará facile pungerli con le nostre quadrelle”.
E ridevano, sicuri delle loro macchine superiori.
Quand'ecco che, come provenienti dal nulla, rumori di carri e urla di battaglia si levarono sul fianco destro.
Dalla nera nuvola uscí la formazione di Arik, puntuta come una lancia mirata al cuore dei balestrieri.
Ludageh era attaccata da Begaruh.

Aurorade, infatti, contando perdite gravissime si era ritirata combattendo su per la collina, sperando di potersi raggruppare li per un’ultima resistenza.
Erano incalzati dai Nani di Kulma i quali facevano pagare loro ogni metro con sangue.
Era un lavoro duro e metodico, come piaceva ai nani.
Non vi era piú confronto per i veloci carri, lì.
Cosí Arik, sfruttando il momento propizio aveva lanciato le macchine da guerra nella magica nebbia che continuava a galleggiare sul campo di battaglia.
Ne fuoriuscì sul fianco di Ludaged, come una rossa volpe che piombi un pollaio.
La sorpresa e lo sconcerto furono totali.
I carri penetrarono profondamente fra i balestrieri senza incontrare nessuna resistenza. I piccoli gnomi, presi dal panico, buttarono le armi a terra. voltarono le spalle e iniziarono a fuggire a destra e a manca, mentre i mastini sui carri ne facevano scempio dall'alto.
Con precisione crudele la lancia colpiva, lo zoccolo schiacciava, il carro travolgeva.
Di dodicimila grassi gnomi che erano partiti meno di mille sarebbero tornati a casa a raccontare della potenza di Begaruh.
Il sangue era ovunque.

Forse Desio avrebbe ancora potuto rovesciare la situazione.
Argento, vedendo il massacro di fronte a lei, fu colta da un senso di prostrazione profondo.
La tenebra che aleggiava sul campo di battaglia le sembró esser penetrata anche dentro l’anima.
Voleva solo buttarsi a terra e chiudere gli occhi, sperando che come un orrendo incubo prima o poi esso si dissolvesse.
Cosí non fece nulla.

Non subodorava che il suo sentimento fosse l’opera delle sacerdotesse di Narim che avevano elevato la tenebra dal piano manifesto a quello delle emozioni.
Accanto a lei gli spietati battitori di Desio piangevano.
Coloro che avevano cacciato al chiar di Luna l’Orso e il Cinghiale senza temere, singhiozzavano, disperati, nella notte dell’anima.
I cacciatori di Desio erano divenuti prede.
Cosí che quando Satod completò l’accerchiamento si arresero al prezzo della salvezza delle loro vite.

Poiché le Amazzoni apparivano fuggite dal campo di battaglia, parve ai Capitani della Lega che la fatto d’armi si fosse risolto facilmente.
Non rimaneva che schiacciare i berseker, asserragliati sulla collina.

Solo Arik represse la gioia.

Sapeva che le cose della guerra sono facili da iniziare ma non si concludono senza pagare un terribile prezzo.

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